Continuando il nostro viaggio in compagnia dei santi che hanno lasciato il segno nella vita del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, ci lasciamo condurre da Caterina da Siena, donna che ha attraversato il suo tempo con grande vigore, che ha infiammato la sua terra con il fuoco del quale lei stessa si è lasciata ardere, consumare per amore del dolce Gesù e della Chiesa santa, suo mistico corpo.

“Amate la Chiesa, amate la Chiesa, amate la Chiesa”: in una delle sue ultime omelie Giaquinta ha voluto lasciare questo invito semplice quasi come sintesi, eredità spirituale di una vita nella quale l’amore, la fedeltà, la passione per la Chiesa lo ha spinto a esprimersi con parole forti, quasi paradossali. Ma certamente l’espressione che più è rimasta impressa a quanti lo hanno conosciuto o hanno letto i suoi scritti, è “sentire cum Petro, sentire cum Ecclesia”. Sì, perché nella sua vita Giaquinta  non ha vissuto un vago senso di fedeltà, di unione con la Chiesa, ma il suo amore per essa è stato un desiderio, un dinamismo interiore che lo ha spinto a rendere tale amore sempre nuovo, sempre più radicato, sempre più parte essenziale, elemento imprescindibile del suo essere battezzato, sacerdote, vescovo. Guardando in un unico quadro santa Caterina da Siena e Guglielmo Giaquinta possiamo comprendere dove essi hanno attinto un amore così ardente, appassionato, granitico: è il Cuore di Cristo Crocifisso, che proprio sulla Croce rivela all’umanità il suo amore e il suo desiderio di donare a tutti la salvezza.

Caterina, donna santa dalla parola infuocata, ha saputo incarnare la missione che nei tempi antichi era affidata ai profeti: essere sentinella per richiamare l’attenzione dei fratelli allo spuntare del nuovo giorno.

Della santa senese un primo elemento che ci piace ricordare è il suo amore tenero e appassionato per il “dolce Gesù”, colui al quale fin dalla fanciullezza consegna la sua vita. Il Cristo che Caterina ha visto come “ponte” che congiunge la terra e il cielo, che riapre per l’uomo la via verso il Padre; il Cristo Crocifisso che dalla croce ha inondato l’umanità con il suo sangue, segno eloquente del suo amore infinito.

Caterina non esita a usare parole audaci per descrivere la profondità del mistero della redenzione, ed ha anche una attenzione e una sollecitudine materna verso i sacerdoti, chiamati a custodire tale mistero. Il sangue di Cristo è il vero tesoro della Chiesa e i sacerdoti ne sono i ministri: i sacerdoti per i quali Caterina è stata sorella e madre, per i quali ha scritto centinaia di lettere e percorso molti chilometri, pur di raggiungerli e quasi supplicarli di rendersi sempre degni di tale ministero, una continua esortazione ad abbandonare il peccato e adottare una condotta santa. Nella sua audacia profetica, si rivolge senza alcun timore a persone di ogni ceto, compreso il Papa, il “dolce Cristo in terra”, che più volte richiama all’importanza del suo ministero, ad essere colui che è stato scelto da Dio per guidare la barca di Cristo, la Sua Chiesa, a cercare la pace, a ritornare a Roma, la sede di Pietro, abbandonata per Avignone.

Amore per Cristo e per il suo sangue, amore per i sacerdoti, ministri della redenzione, amore per la Chiesa, che sente come madre e che sogna sia santa, guidata da pastori santi, vera immagine di Cristo.

Tra la santa senese e Guglielmo Giaquinta c’è una santa sintonia. Più volte il Servo di Dio ricorda nelle sue meditazioni l’episodio che vede la santa invitata da Cristo scegliere tra una corona di spine e una di rose, e lei sceglie le spine, per somigliare al Cristo che ama, esempio di un amore che non si accontenta, ma che vuole tendere al massimo, alla santità.

Ma i due si trovano d’accordo soprattutto sulla visione del sacerdozio, hanno lo stesso sguardo, fraterno, devoto, ma al contempo esigente sui ministri del sangue di Cristo. Scrive Giaquinta: “Tu solo, Sacerdote, portatore del messaggio di Cristo, puoi invece donare al mondo la vera pace e la vera gioia e la vera serenità. Perché Tu solo ne possiedi la fonte più vera e ne sei anzi la fonte unica. E’ solo attraverso te che Cristo torna ad incarnarsi nei nostri cuori… Tutto noi ti daremo, ma donaci tu per primo il Sangue che ci ha redenti. E noi adoriamo il Sangue del nostro Cristo, noi veneriamo te, Sacerdote, ministro della nostra redenzione”. Emerge il legame forte del sacerdote con il Sangue di Cristo: santa Caterina ne ha una intuizione chiara, forte, decisa, Giaquinta ne fa anche esperienza, lui che è chiamato a raccogliere il Sangue di Cristo e spargerlo sulle anime con abbondanza. “E alle nostre ferite non è né l’olio né l’aceto dell’antico samaritano che porta sollievo; né porta guarigione la gamma dei moderni antibiotici, ma solo il Sangue di Cristo. Tu, o Sacerdote, lo possiedi questo Sangue; solo tu lo possiedi. Daccelo dunque e spargilo con abbondanza su di noi: che ci santifichi e ci trasformi. Esso scorre ancora abbondante dal costato del Crocifisso ma solo tu hai diritto di raccoglierlo e riversarlo sulla umanità sofferente e peccatrice”.

Dalle sue mani consacrate avviene il miracolo che trasforma il pane e il vino in Corpo e Sangue di Cristo, sangue che egli è chiamato a spargere sui fratelli perché tutti siano salvati. Chissà cosa avrà pensato don Guglielmo leggendo le lettere che Caterina ha indirizzato ai sacerdoti, chissà quante volte si sarà sentito scuotere da quelle parole di fuoco che gli ripetevano: “Sii sacerdote santo, perché così il Signore ti ha sognato”.

Insieme, oltre i limiti del tempo, si sono trovati ai piedi del Crocifisso, hanno ascoltato il grido di Gesù: “Ho sete!”, si sono lasciati conquistare da queste poche parole che portano al Cuore di Cristo: la sete delle anime. Le parole di Gesù hanno spinto Caterina a percorrere l’Europa in cerca di fratelli ai quali portare l’amore, Giaquinta a desiderare “il tormento per la salvezza delle anime”, a sentire la sete di Gesù e dissetarlo con una risposta massima d’amore. Il grido di Gesù è una provocazione d’amore, un appello a comprendere l’infinito amore del Padre, il suo intenso desiderio di donare la salvezza a tutti.

Per Caterina è come se Gesù stesso, con il suo grido, volesse dire che la sete che ha provato sulla croce, per quanto atroce, era pur sempre una pena finita, mentre la sete che egli ha della salvezza degli uomini è infinita, e al cui confronto la sete fisica è ben poca cosa, insufficiente ad esprimere la grandezza del suo amore e del suo “santo desiderio” della salvezza delle anime.

Gesù manifesta la sua sete, chiedendo da bere nel momento in cui la rivelazione del suo amore per noi è all’apice, cioè nel suo sangue, cioè nel sacrificio della croce; chiede da bere, manifesta il suo amore e chiede di essere amato e servito. L’anima risponde a questa implorazione dando da bere “al suo Creatore quando gli rende amore per amore”, che per la santa senese si deve concretizzare nell’amore verso il prossimo.

Caterina invita il frate al quale rivolge questo appello, in una delle sue lettere, ad essere sollecito nel dare il “santo beveraggio” a Cristo, visto che egli soffre così tanto di questa sete da morirne; e uno dei modi per rispondere a questa sete è “trarre le anime dalle mani del dimonio”, servizio nel quale non bisogna essere negligenti, con “poca fame de l’onore di Dio e della salute dell’anime”, perché questo significherebbe dare al Cristo crocifisso e assetato fiele e aceto, che gli procurerebbe una ancor più grande amarezza di quella sofferta sulla croce .

Sembra quasi che il Servo di Dio risponda a queste parole quando scrive in una preghiera:Gesù, che nella tua agonia sulla croce rivolgesti alle anime fedeli il tuo ” sitio ” di amore e di dolore, concedi anche a me di poter dissetare le tue labbra tormentate dalla sete. Comprendo che la tua è sete di anime… Concedilo anche a me tale tormento: e non solo della loro salvezza, ma della loro santificazione. Sia questo il mio grande ideale, anzi lo scopo unico della mia vita”.

Ai piedi della Croce, ci ritroviamo insieme a Guglielmo, a Caterina e a tutti i santi, per contemplare in Gesù il grande amore del Padre e per dire con loro: anche noi, Signore, vogliamo dissetarti con il nostro amore.

 

Cristina Parasiliti