“L’amore è rivoluzione” è un testo pubblicato dal Servo di Dio Guglielmo Giaquinta nel 1973. In esso l’autore raccoglie in un’unica sintesi il suo pensiero sulle radici più profonde della chiamata universale alla santità e sulle conseguenze operative che da essa derivano, rielaborando e rilanciando il suo pensiero e la sua spiritualità come il “grande messaggio attuale e universale della Chiesa al mondo moderno” (p. 12). Il brano proposto è tratto dal capitolo che ha per titolo semplicemente “Giovanni”: dagli scritti del ‘discepolo prediletto’ Giaquinta attinge le indicazioni fondamentali per intraprendere un percorso di fraternità che sia concreto, forte, incisivo; perché sia tale, non può essere solo il frutto di sentimenti di solidarietà, ma nasce da una persona vivente, Gesù Cristo, che ha reso visibile l’amore infinito del Padre per noi. L’amore fraterno donato da Cristo e vissuto dai suoi discepoli, ha una forza e un’attrattiva che lo rendono contagioso: più delle parole, è la testimonianza che affascina, trasforma il cuore e diventa vita, non solo per i singoli, ma per il mondo.
Si può affermare, senza timore di smentita, che tutta la teologia e la spiritualità moderna puntano la loro attenzione e il loro interesse concreto attorno all’amore. Non è azzardato affermare che il trapasso dalla visione teologica medioevale ‑ almeno come presentata da alcuni pensatori ‑ a quella moderna, si può sintetizzare con questa frase: il passaggio dal «Dio-essere» del Genesi al «Dio‑Amore» di Giovanni. Dobbiamo credere che questa accentuazione dell’amore sia aliena dallo spirito del Vangelo, dei primi cristiani e, soprattutto, da quello del discepolo prediletto? È fondamentale leggere quanto quest’ultimo ci ha lasciato nella sua prima lettera […]
Quando Giovanni ci dice che Dio è amore egli non fa altro che sintetizzare quanto ha già ampiamente esposto nel suo Vangelo. Nei primi 12 capitoli di esso, Giovanni ci mostra il Padre che ama Suo figlio; dal capitolo 13 in poi egli ci presenta il Figlio, Unigenito di Dio, che ama gli uomini che devono essere redenti. Dio‑amore non è dunque una astrazione ma una persona vivente che ci ha mostrato, attraverso il Figlio, l’amore infinito che ha per noi. Ma se Egli ci ha amati fino al punto da farci suoi figli (1 Gv. 3, 1) noi dobbiamo riamare Lui (1 Gv. 4, 19) e, in conseguenza, i fratelli che sono suoi figli.
La grande tematica della nostra figliolanza da Dio e della nostra reciproca fraternità trova dunque la sua enunciazione teologica nel quarto Vangelo e la sua esplicitazione totale nella prima lettera di Giovanni. E’ infatti facile constatare che l’Apostolo, differenziandosi in questo dai Sinottici, non presenta mai fino al capitolo 19 Dio come nostro Padre. E’ solo dopo che dal cuore trafitto di Cristo è uscito sangue ed acqua (Gv 19, 34) e cioè la Chiesa che nasce dai due sacramenti del battesimo e dell’eucarestia, che Giovanni può presentare le parole di Gesù: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro».
Con ciò Giovanni voleva farci notare che la nostra figliolanza da Dio e la conseguente fraternità vicendevole nasce dal cuore di Cristo e cioè dalla sorgente dell’amore. Ma prima ancora che l’Apostolo prediletto arrivasse a questa precisazione teologica, i cristiani già conoscevano e vivevano tale messaggio secondo quanto troviamo narrato esplicitamente negli Atti degli Apostoli. Anzi essi arriveranno ad una attuazione che oggi può sembrare sbalorditiva, ma che era solo esigenza logica e generosa di un cristianesimo accettato sino in fondo. Erano un cuore solo e un’anima sola; erano uniti nella preghiera e nella frazione del pane; avevano liberamente stabilito tra loro una piena comunione di beni sicché non esisteva più il mio e il tuo (cfr. Atti 2, 42‑46; 4, 32‑35). Rimaniamo stupiti della rapida diffusione del cristianesimo nei primi secoli. Molto è certo dipeso dalla invadente azione, anche carismatica, dello Spirito e dalla testimonianza del martirio. Ma non si può negare che la realizzazione di una società di amore in un tempo dominato dall’egoismo abbia avuto il suo influsso notevole.
Non mancavano però, anche allora, gli spiriti contestatori che forti della loro cultura quasi non potevano accettare la dottrina dell’amore verso tutti gli uomini. La cosa appare assurda al vecchio Giovanni che prende la penna e scrive la sua prima lettera tutta consacrata all’amore di Dio e dei fratelli. A un mondo duro e ostile troppo spesso dominato dall’odio omicida di Caino, imitatore di quello di satana, «omicida sin dall’origine» (1 Gv 3,12; Gv 8,44) Giovanni vorrebbe sostituire un mondo in cui regni un autentico amore fraterno riflesso dell’amore divino. Ma per operare questa trasformazione della umanità, Cristo e il suo fedele interprete Giovanni, contano prima di ogni altra cosa sul contagio dell’esempio e sull’irraggiamento della carità che unisce tra loro cristiani (Gv 13, 34‑35).
E possiamo vedere in questo quasi il testamento dell’apostolo. Giovanni, colui che da Gesù fu amato più degli altri apostoli, che poté contare i palpiti del Cuore di Cristo, che da Lui ricevette in dolce eredità la Madre sua, volendo, al termine della sua vita, riassumere il pensiero del Maestro, non di altro sapeva parlare che di amore. Riconosciamo che il suo messaggio è per noi della massima attualità e che in esso abbiamo il presupposto di una risposta valida da dare ai problemi del nostro mondo: accostiamoci a Dio perché Egli più che giudice è Padre che ci ama infinitamente. (Guglielmo Giaquinta,L’amore è rivoluzione, 41-45)
Passi di fraternità
- Dalla Parola, in particolare dall’apostolo Giovanni, impariamo lo stile della fraternità: quali indicazioni ci provocano maggiormente?
- “Dio amore non è dunque una astrazione ma una persona vivente che ci ha mostrato, attraverso il Figlio, l’amore infinito che ha per noi”: da queste parole cogliamo una duplice sollecitazione
- Riconoscere le manifestazioni della presenza di Dio amore nella nostra storia;
- Essere per gli altri segno di questa presenza.