E’ difficile guardare al tempo presente come una trama felice… Le notizie di ogni giorno mettono a dura prova la fede, compromettono la speranza, indeboliscono la carità. Oggi, proviamo a metterci sinceramente davanti alla Parola che salva e lasciare che da questo incontro si producano i frutti e i profumi della Vita!

Fede fresca…

La fede nuda è una fede fresca. Non è la fede in scatola, cibo preconfezionato che si compra al supermarket delle religioni. La fede nuda sa di rugiada e di sole, come i germogli di rose in aprile. Bisogna mettersi nudi, pelle a pelle, col vangelo nudo, liberato da tante parole stantie. Possiamo fare l’amore con la Parola. Possiamo sbucciarlo per addentare la polpa succosa che sta sotto. [ … ] Bisogna fare con il vangelo come si fa con le lenzuola: sbatterlo all’aria e al sole. E allora si trova una fede concreta che salva dalle astrazioni, una fede profumata di vita come il pane caldo di forno. Il vangelo non parla del peccato e della redenzione e neppure parla di Gesù-Giuseppe-Maria. Il vangelo parla di me e di te. Mi dice che se lo lascio fare, Dio getta una passerella sopra i burroni del mio dolore e posso attraversarli. Mi dice che posso scrivere la storia della mia vita come una trama felice, e che felice, nonostante tutto, è anche la trama del mondo, ed è importantissimo che io ne componga un pezzetto di mio pugno. “Real change won’t happen without you”, dice uno slogan: nessun cambiamento accadrà senza di te.

Il vangelo parla di oggi: “Dio è un Dio del presente” (Meister Eckhart). E scopri che non è che tutto sia già stato spiegato, sistemato, incasellato. Il senso non è dato una volta per tutte, ma noi produciamo significati nuovi scrivendo oggi pagine nuove di scrittura sacra con le nostre vite: noi il vangelo non lo leggiamo, lo abitiamo.

Mettersi nudi davanti alla Parola nuda significa anche sperimentare il silenzio. Il silenzio non un vuoto né è solitudine: è uno spazio d’anima, quello spazio interiore da cui nascono le parole autentiche, un luogo di incontri. […] Gesù faceva silenzio per poter ascoltare. Gli bastava restare qualche ora sotto le stelle per farsi tutto ascolto e sentire l’infinito che gli parlava. Lo accoglieva in sé, per poterlo portare ai suoi amici: doveva fare l’interprete tra loro e l’infinito. Per tradurre la lingua dell’infinito, Gesù usava le parole della vita: le pecore, il seme, la vite, i pesci, le monete, l’olio, il lievito, le lampade, le scope… Così il suo linguaggio è rimasto vivo e fresco ancora oggi, come appena nato.

Marina Marcolini, Una fede nuda