I nostri auguri per un Santo Natale con le parole del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta

E’ logico che ci chiediamo che cosa vuole dirci Gesù che nasce, e mi pare che la risposta possa esser una sola: ascolta la Chiesa. Gesù Bambino che nasce ci indica la Chiesa: è dalla Chiesa che noi possiamo conoscere quale sia la sua volontà. Gesù nasce per la evangelizzazione del mondo. La Chiesa oggi ci parla di una “nuova evangelizzazione”: questo Natale, quindi, deve essere caratterizzato per noi da una spinta interiore verso la nuova evangelizzazione, la quale non può essere altro che la ripetizione della prima evangelizzazione. Cristo non si smentisce, secondo quello che leggiamo e abbiamo meditato nella lettera agli Ebrei, “Cristo è lo stesso ieri, oggi, lo sarà nei secoli “. E allora dobbiamo preoccuparci di conoscere il contenuto della prima evangelizzazione per poterla ripetere oggi.

Tante volte, quando si sente questa parola – nuova evangelizzazione – su cui il Papa tanto insiste, si pensa chissà a quali cose e si dimentica di andare alla sorgente, che è la stessa per la prima e per quella attuale, per la nuova. E allora iniziamo questo dialogo con Gesù. Che cosa ci dice Gesù della sua evangelizzazione, cioè della Buona Novella che Egli è venuto a portare in questo mondo, (perché evangelizzazione vuol dire portare la Buona Novella)?

A Gesù Bambino, che abbiamo visto nascere su questo altare pochi istanti fa, domandiamo: Signore, qual è questa Buona Novella che tu hai portato e che noi dobbiamo rivivere nella nuova evangelizzazione? Una Novella antica, ma sempre nuova che, se fosse realmente compresa e conosciuta e soprattutto vissuta, sarebbe capace di cambiare, di stravolgere la nostra vita e la vita del mondo. La risposta di Gesù potrebbe essere molteplice, ma io mi fermo semplicemente su quello che è stato molto sottolineato dai Padri: factus est Deus homo ut fieret homo deus. Sembra una cosa quasi assurda: Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventi Dio. E’ stato così, oggi deve essere così: Dio si è fatto uomo … Ammiriamo la bontà di Dio quale l’abbiamo ascoltata questa sera nella lettura di Paolo: è apparsa la meraviglia del Signore. Dio si è fatto uomo … Riuscissimo a comprendere, a gustare per lo meno un pochino la ricchezza, la profondità, la immensità, la infinità di questa realtà!… Dio si è fatto uomo, uno di noi, povero come noi. Dice ancora S. Paolo: si è fatto in tutto simile all’uomo, tranne che nel peccato. Cristo è l’uomo senza peccato, ma è uomo, uomo come noi. Da quel momento la divinità non ci è più lontana, non ci fa più paura, perché Lui si è fatto come noi. Ma perché? Perché l’uomo diventasse Dio, si trasformasse. Fermiamoci un istante: abbiamo coscienza di questo duplice miracolo, divino e umano? Dio che diventa una creatura come noi, con le nostre povertà, con la nostra piccolezza, e contemporaneamente il mistero della nostra trasformazione in Lui: ci pensiamo a questo secondo passaggio, “perché l’uomo diventasse Dio”? Ci pensiamo a questa realtà, che in un certo senso noi siamo Dio? Il rispetto per noi stessi, l’amore per la nostra anima, per i doni immensi che il Signore ci ha fatto divinizzandoci … E poi allarghiamo lo sguardo e vediamo attorno a noi tante luci, tante fiammelle che diventano dei roghi ardenti: sono i nostri fratelli, divinizzati anch’essi. Il Natale dovrebbe essere capace di trasformare il nostro rapporto con gli altri, il nostro sguardo; il Natale è capace di dare un fondamento reale, una concretezza al nostro rapporto di carità, che a volte ci può sembrare qualche cosa di un po’ sfumato mentre questa è la realtà: in ogni nostro fratello dobbiamo vedere il volto di Dio, il volto di Gesù, il volto del Padre. Quanto sarebbe differente allora la nostra vita!

Queste cose le conosciamo, ma quanto riescono a incidere dentro di noi? Quale è il nostro amore verso i fratelli, verso questa incarnazione di Dio? Ecco il miracolo del Natale: festeggiamo Dio che si fa uomo come noi, in mezzo a noi, per noi, e festeggiamo insieme questa miracolosa conversione dell’uomo in Dio.

Servo di Dio Guglielmo Giaquinta

dall’omelia del 24 dicembre 1991