Che la santità sia il tema primario della spiritualità del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta non è necessario dimostrarlo. Ma non è l’aver parlato di santità che fa di Giaquinta un profeta e un apostolo di tale annuncio.

Pochi giorni prima dell’apertura del Concilio Vaticano II, Giaquinta così si esprimeva, parlando alle Oblate Apostoliche durante un ritiro spirituale: “Pensate quale gioia e quale conforto avremmo soprattutto noi, che ci siamo consacrati all’ideale dell’Amore redentivo che esige la corrispondenza tendenzialmente infinita, noi che affermiamo e diffondiamo il principio della vocazione universale alla santità, se il Concilio, in uno dei suoi tanti articoli, direttamente o indirettamente affermasse il dovere, la obbligatorietà per tutti i cristiani di diventare santi!” (Ritiro del 7 ottobre 1962, inedito)

Un desiderio espresso timidamente, che ha trovato ampia risposta, molto più che un’affermazione indiretta. Immaginiamo che oggi il Servo di Dio avrebbe ancora più “gioia e conforto” nell’avere tra le mani l’ultima esortazione apostolica di papa Francesco, Gaudete et Exsultate!

Attingendo dall’ampia produzione degli scritti del fondatore del Movimento Pro Sanctitate, vogliamo qui mettere in evidenza alcuni elementi che caratterizzano il pensiero e l’insegnamento di Giaquinta sulla vocazione universale alla santità.

A chi rivolgere l’annuncio della chiamata alla santità? A questa domanda Giaquinta rispondeva in maniera molto semplice: a tutti, dappertutto, con ogni mezzo.

A tutti: prima declinazione dell’universalità. La santità è anzitutto una “chiamata”, un dono gratuito che Dio offre ad ogni uomo, dono con il quale Egli manifesta l’infinità del suo amore per ciascuno. Ecco il primo elemento di universalità: ogni uomo è destinatario dell’amore di Dio e chiamato quindi a rispondere a tale amore infinito con la totalità del suo amore; anche fuori dalla Chiesa, c’è l’azione dello Spirito Santo che spinge l’umanità verso Cristo, che suscita una risposta a tale vocazione all’amore infinito di Dio. Su questa dimensione di universalità, il Servo di Dio ha usato espressioni molto chiare e per certi versi audaci: “La santità è la pienezza dell’amore come corrispondenza all’infinito amore di Dio. Tale principio è valido sia per i cattolici e per i cristiani, sia per chi sta al di fuori del cristianesimo (secondo alcuni sarebbe valido perfino per gli atei).” (La spiritualità del Movimento Pro Sanctitate, 53).

Uno dei sogni di Giaquinta era poter costruire un Tempio della Santificazione universale: un luogo nel quale tutti, cristiani, credenti di altre religioni e persino non credenti, potessero incontrarsi per pregare e trovare insieme vie di santità. Sebbene questa intuizione non sia stata da lui ulteriormente sviluppata, si tratta di una prospettiva che meriterebbe un serio approfondimento: la vocazione alla santità nel dialogo ecumenico e interreligioso, nonché nel dialogo antropologico e culturale con chi non crede in Dio, ma ha a cuore la felicità dell’uomo, la sua piena realizzazione.

Significativo, a questo proposito, un passaggio dal testo “La chiamata”: “La chiamata all’amore non può essere relativa semplicemente ad anime eccezionali, a gruppi di élite, giacché la chiamata all’amore in cui abbiamo trovato l’essenza della santità in forma completa e definitiva, l’abbiamo nella Chiesa che è appunto l’area della santità perfetta; a noi il compito di scoprire questi filoni, queste venature di amore, dovunque essi si trovino, nell’ordine naturale, nell’ordine delle altre religioni, nell’ordine ecumenico, per potenziarle e portarle così gradualmente alla pienezza. La vocazione universale alla santità acquista quindi veramente il senso della universalità e dell’ecumenicità”. (La chiamata, 49-50)

Seconda nota: dappertutto. La santità è vita, non teoria o sistema etico e la vita di ogni individuo si svolge, si realizza su piani e contesti diversi.

La santità ha, anzitutto, una dimensione profonda, interiore, tocca le corde più intime della persona: lo sguardo di amore di Dio si posa su ciascuno, è uno sguardo personale, ma quasi per necessità intrinseca, ha un carattere irradiativo, si espande al “quadruplice ordine personale, familiare, comunitario e sociale”.

Il primo è di comprensione più immediata, come abbiamo già accennato: è una chiamata personale che Dio rivolge a ciascun uomo, una comunicazione d’amore.

Il secondo e il terzo, l’ordine familiare e comunitario, esprimono un’idea cara a Giaquinta: la santità è un cammino da vivere e realizzare insieme.

La santità è una scelta di vita personale, e questo è il punto di partenza, ma coinvolge la famiglia, la comunità, la società; non può mai restare un fatto privato, come mostra chiaramente la storia dei santi, e non è un cammino da compiere in solitudine. L’universalità quindi, è declinata da Giaquinta come permeazione, trasformazione di ogni ambito della vita: l’uomo che decide di percorrere il cammino della santità irradia attorno a sé l’amore di Dio del quale la sua esistenza è piena. Ecco come si esprime il Servo di Dio: “La nostra risposta, poi, non coinvolge solo noi, giacché, secondo una vecchia espressione di Merton «Nessun uomo è un’isola»: la mia eventuale santità o non santità ha un risultato, un influsso positivo o negativo su quanti mi stanno attorno. La nostra risposta alla chiamata di Cristo è un fatto personale, ma non solo personale; anche se non se ne ha la percezione”. (La chiamata, 69)

E così come trasforma la vita del singolo, le sue relazioni, la santità ha un potenziale di bene in ogni ambito nel quale si svolge la vita dell’uomo: “da questa santità è promosso anche nella società terrena un tenore di vita più umano”, recita il documento conciliare Lumen Gentium al n. 40.

Santità che trasforma il mondo, il contesto sociale: è il quarto ‘ordine’ lungo il quale irradiare santità. Ci soffermiamo un po’ più a lungo su questa dimensione, sia perché su questo tema Giaquinta ha molto scritto e riflettuto, sia perché è l’aspetto che chiama in causa maggiormente laici e il loro modo di vivere la santità oggi.

Il punto di partenza della riflessione del Servo di Dio è la certezza che il santo, ogni santo, cioè ogni uomo, ogni donna che decide di fare della santità il suo percorso di vita, è “contemporaneamente risposta e parola dello Spirito Santo. Ad un mondo che ha bisogno, che si trova in situazioni di difficoltà sia pure diverse periodo da periodo, che geme, implora, innalza la preghiera verso l’alto, Dio manda il santo, il quale diventa la sua risposta, più specificamente la risposta dello Spirito ai bisogni del tempo. […] Contemporaneamente il Santo è parola, cioè dice al mondo la parola dello Spirito. Da una parte quindi vi è lo Spirito che risponde alle esigenze del mondo, dall’altra il santo, che deve diventare parola dello Spirito. Egli viene mandato con un compito ben determinato nei confronti delle esigenze del mondo e deve rispondere con la sua parola..” (La santità, 104-105)

Detto in parole povere: la chiamata alla santità è universale, ma non astratta, perché ha il suo ‘modello’ di riferimento nel mistero dell’incarnazione.

Giaquinta è convinto che sia necessario “sintonizzarsi con il momento storico” e con il progetto di Dio, essere dei chiamati alla santità oggi, cioè in questo momento storico, per essere risposta e parola dello Spirito e non “risposta umana, personale, individuale più o meno sbagliata o più o meno indovinata, ma non dello Spirito Santo”. Occorre avere quindi una doppia sintonia: con il tempo e con lo Spirito!

Tempo attuale da conoscere in profondità, ma soprattutto da amare, perché “esso di fatto non è né stelle, né sole, né luna, né alberi: il mondo è composto da nostri fratelli per i quali Cristo Gesù è morto sulla croce, ai quali il Signore ci ha mandato e ci manda come suoi apostoli e verso cui dobbiamo sentire amore” (La santità, 106). È una proposta di santità ‘sociale’ che punta non tanto a trasformare la società, quanto piuttosto a tessere legami, creare relazioni di autentica fraternità e carità.

Infine, il santo è una persona dallo sguardo profetico e solidale: la profezia richiede il coraggio della verità, la solidarietà apre gli occhi del cuore mente per cogliere nelle pieghe della storia e della vita dei singoli del nostro tempo il desiderio di incontrare Dio e il suo amore.

Cristina Parasiliti