Il 2 febbraio, in occasione della festa della Presentazione di Gesù al Tempio, si celebra la Giornata della Vita consacrata. Fu proposta nel 1997 da san Giovanni Paolo II, il quale, nel messaggio inviato per quella prima Giornata, spiegava che l’icona evangelica di Gesù che, presentato al Tempio è riconosciuto da Simeone come “luce per illuminare le genti” (Lc 2,32), costituisce «un’eloquente icona della totale donazione della propria vita per quanti sono stati chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, “i tratti caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente” (Vita consecrata, n.1)».

Celebrare questa Giornata è un invito a rinnovare la nostra donazione, ad essere sempre più discepoli e discepole di Cristo, il consacrato del Padre, segno visibile e vivente della sua presenza nel mondo.

In che modo oggi possiamo vivere la nostra vocazione? Siamo chiamate ad essere segno, testimonianza… ma quale testimonianza ci chiede oggi il Signore attraverso la storia, i fratelli e le sorelle? Un suggerimento arriva dal messaggio inviato pochi giorni fa dal Card. De Aviz, Prefetto della Congregazione per la vita consacrata, centrato sulla seconda parola del Sinodo che è “partecipazione”, declinata in maniera specifica per noi consacrati.

Partecipare non solo alla vita della Chiesa, alle sue attività, ma essere parte viva della storia della salvezza che si sta svolgendo oggi, nel nostro tempo, sentire con gioia ed entusiasmo che siamo “parte di un progetto d’Amore per il quale altri fratelli e sorelle prima di noi e con noi hanno messo a disposizione la propria vita” (card. De Aviz) e che il Signore chiama ciascuno di noi per realizzare questo sogno di bene per l’umanità.

Chiama anche me, quindi, ma non da sola! Questa è la forza e la bellezza della vita consacrata, chiamata ad essere segno visibile, testimonianza umile e autentica della vocazione di tutta l’umanità a camminare insieme, perché solo insieme agli altri possiamo vivere e realizzare pienamente la nostra umanità (cfr. GS 12).

Testimoni di comunione, di partecipazione, di ascolto, in un tempo che spinge all’isolamento, non quello necessario per la tutela della salute propria e altrui, ma l’isolamento che sorge quando si mettono in primo piano i desideri, i bisogni, i pensieri del singolo, in una ricerca di soddisfazione, che si rivela sterile e lascia sempre più soli e tristi.

Testimoni di uno stile di vita, di una sinodalità che comincia “dentro di noi: da un cambio di mentalità, da una conversione personale, nella comunità o fraternità, dentro casa, nel lavoro, nelle nostre strutture per espandersi nei ministeri e nella missione” (card. De Aviz); sinodalità che è frutto di ascolto reciproco, del desiderio profondo e dell’impegno concreto perché ciascuno sia realmente partecipe, non di un processo democratico, ma di un cammino nello Spirito, lo stesso Spirito che ci rende membra dell’unico corpo di Cristo.

Testimoni di un amore che chiede semplicemente di ‘stare’, di essere presente come è necessario: con il silenzio, con le parole, con la preghiera, con le azioni fattive; un amore che è dono di sé, radicale e incondizionato, faticoso e imperfetto, ma sempre in crescita verso la misura di Cristo.

Qualche volta può capitare di sentirsi un po’ scoraggiati e di chiedersi: ma ha ancora senso oggi la scelta di consacrarsi? Ha senso vivere in povertà, castità e obbedienza in un tempo in cui tutto questo non è compreso? Ha senso il dono di sé in un tempo in cui questo è considerato una scelta da ‘perdenti’?

Ma se non ci siamo noi a testimoniare la speranza anche nel deserto, come potranno trovarla i nostri fratelli e le nostre sorelle?

Continuiamo a camminare, dunque, nella fatica, nella gioia, nel buio e nella luce, come custodi di un dono prezioso, l’Amore che ci ha conquistati, da diffondere con generosità ai fratelli e alle sorelle del nostro tempo.

Cristina Parasiliti