Mi è stato chiesto di mettere giù su carta e di narrare come vivo la dimensione spirituale nel quotidiano, un fatto che di per sé interroga ogni cristiano, quindi mi accingo a riordinare i pensieri sapendo di essere in buona compagnia. Intanto parto dal presupposto che la vita quotidiana non sia una vita di serie b, è semplicemente la vita e che ogni giorno, ogni momento, ci presenti occasioni continue per mettere in pratica il Vangelo. Il problema è accorgersene, perché il Signore quando ti offre qualche occasione è spesso quella più banale, meno “illustre”, meno evidente, soprattutto lontana dai riflettori.  Per fortuna, perché almeno si rischia meno di sentirsi quella che “fa”. Dopo pochi giorni dalla Festa dell’Alleanza in cui sono diventata Cooperatrice, ho ricevuto un incarico di responsabilità nell’Istituto Comprensivo in cui lavoro come maestra di scuola primaria. Devo coordinare un plesso molto grande, di 20 classi e 445 alunni. Il mio compito è pensare a sostituire il personale assente, vigilare sullo stato dell’edificio per segnalare eventuali interventi urgenti al Municipio, organizzare i turni di pulizie dei collaboratori. In più sono “Referente Covid” e tocca a me interfacciarmi con la Asl per i casi positivi che si verificano a scuola. Questo è il lavoro ufficiale. Ufficiosamente devo intervenire a dirimere questioni spinose tra i docenti, tra i genitori, tra i primi e i secondi, sempre cercando di mantenere nervi saldi, pazienza e buon senso. A tempo perso…insegno. La giornata comincia all’incirca alle sette del mattino con la comunicazione dalla segreteria sul personale assente e finisce la sera tardi quando ricevo le ultime notizie sullo stato di indisposizione delle colleghe. Nel mezzo il resto (famiglia compresa). Sicuramente un grande impegno senza una retribuzione reale, solo un’indennità a fine anno, ma niente di appetibile, infatti quasi nessuno vorrebbe stare al mio posto!
E allora?
Allora questo ruolo mi ha dato altre possibilità. Alcune straordinarie, altre lo sono diventate perché trasformate in qualcos’altro. A settembre mi ha scritto un genitore di un piccolo alunno di prima elementare.  Era una mamma preoccupata che la grave condizione di salute della sua bambina di due anni potesse avere delle ripercussioni negative sull’ingresso a scuola del fratellino. Così a poco a poco è nata una relazione “epistolare” fatta di tante email e poi messaggi WhatsApp, soprattutto per farle compagnia durante le lunghe attese in auto ad aspettare l’apertura della sala di rianimazione, momenti in cui lei mi ha fatto l’onore di farmi partecipe della sua vita: una seconda gravidanza, un parto normale, una bellissima bambina e poi…la malattia, tanto da grave da richiedere un trapianto di fegato. Premetto subito che, dopo aver rischiato la vita, ha vinto la sua grande battaglia, ma prima, a ritroso, mesi di angoscia, attese vane, speranza, di nuovo pericolo, ancora attesa. Poi la gioia. Ancora adesso non conosco la mamma personalmente, anche perché per sicurezza, in via precauzionale, ha dovuto ritirare momentaneamente il bambino da scuola perché non fosse fonte di contagio per la sorellina, per cui non ho ancora avuto il piacere di incontrarla.  Di sicuro posso dire che ad oggi ci sia un legame fatto di bene tra due persone che di fatto non si conoscono.

Questo è lo straordinario, ma c’è tanto ordinario…

Come per esempio rispondere all’ennesima telefonata di un collega come se fosse la prima della giornata, ascoltarne per ore gli sfoghi per motivi personali e te li vuole raccontare proprio in quel momento, mentre prepari la cena! Di recente in Parrocchia ho ascoltato una bella omelia sul Vangelo della terza domenica di Avvento. Giovanni Battista che risponde alle domande sulla sua identità e alla fine dice “Non sono io”. Ecco, questa è la dimensione che vorrei che non mi sfuggisse mai, quella che vorrei che aderisse in modo indelebile sulla mia pelle come i tatuaggi che non amo e non ho. Anzi, di più: che penetrasse nel mio cuore marchiandolo a fuoco come certi buoni prodotti della terra tra Parma e Reggio Emilia. Perché è un tesoro di Verità che illumina la vita, che l’alleggerisce, restituisce la conoscenza vera di sé, sulla vita quotidiana, quella professionale, spirituale … Tanto ormai è chiaro che non c’è differenza. Per Natale ho lanciato un invito ai colleghi a partecipare alla Messa nella Parrocchia del quartiere il penultimo giorno di scuola prima delle vacanze. Un’occasione per ringraziare dei tanti miracoli ricevuti, evidenti e non, pregare per le famiglie della scuola (compreso quelle degli insegnanti, cosa che è stata molto apprezzata!), ricordare insieme due giovani ex colleghe che da qualche anno purtroppo non ci sono più. Ma soprattutto per trovarci insieme davanti al Signore così come si è. Ho buttato lì la proposta facendomi forza, non senza imbarazzo, ma con mia sorpresa è stata accolta con un calore sinceramente inaspettato. Anche questa circostanza, una comune Messa feriale, all’interno di un contesto di scuola pubblica, ha certamente dello straordinario e mentre scrivo me ne rendo ancora più conto. Ma siamo a Natale, il tempo in cui ci siamo fin troppo abituati al fatto che LO STRAORDINARIO si incarni nell’ordinario, invece è proprio così; non solo: lo trasforma anche, esattamente come la Grazia fa con ciascuno tutti i giorni quando rimaniamo con il cuore aperto. A noi sta la vigilanza su questa apertura. Buon Natale e buon anno ordinario a tutti!

Daniela Todaro Rossi