Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.  Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro.  Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. (Lc 24, 13-16)

Bastano questi pochi versetti per evocare una delle scene più note del Vangelo e, in particolare, nei racconti degli incontri di Gesù risorto con i suoi discepoli. La vicenda dei discepoli di Emmaus ha ispirato artisti, scrittori, registi… questi due sono tra quelli che sentiamo più vicini, insieme a Tommaso e Pietro, perché un po’ ci somigliano, non sono quelli bravi che capiscono tutto e subito. Ci parlano della fatica di vivere e di credere, ma anche della gioia di quando ci si accorge che il Signore, proprio Lui, è vicino a noi, cammina con noi, interroga il nostro cuore per aprirlo alla sua luce. Proviamo a cogliere qualche suggerimento per il nostro cammino da Cleopa e dal suo amico.

“due di loro…”: la prima ‘dritta’ è che non si cammina da soli, mai, anche quando non si vede; perché le nostre vite sono sempre intrecciate, che lo vogliamo o no, che lo sappiamo o no. Siamo sempre legati a qualcuno, inseriti in una rete di relazioni che ci danno il senso di far parte di qualcosa di più grande: una famiglia, una comunità, un insieme di persone unite, legate da un filo invisibile.

“Conversavano tra loro…”: è un primo passo, quello di parlare, esprimere, verbalizzare, dare parole a pensieri, sentimenti, emozioni. È importante vivere, ma è fondamentale accorgersi di ciò che si vive, che accade dentro e fuori di noi. L’abitudine, la familiarità, la quotidianità nelle relazioni può farci sfuggire la vita che scorre dentro l’altro, può non farci chiedere più: “Come stai?”, pensando di non avere nulla da aspettarci, da imparare, da ascoltare.

“Gesù in persona si avvicinò”: noi lettori siamo in vantaggio rispetto ai due discepoli, perché sappiamo che è Gesù… eppure anche noi, oggi, sperimentiamo la difficoltà a riconoscerlo mentre si avvicina, ci raggiunge nel nostro camminare scoraggiati e delusi. È un esercizio sempre da fare, ma non da soli, possiamo e dobbiamo aiutarci reciprocamente nel riconoscere la sua presenza. È questo uno degli aspetti più belli della nostra fede, che non è mai una fede privata, individuale: siamo parte di un Corpo, di un popolo, di una famiglia.

Gesù in persona ci offre nella sua parola una chiave di lettura per la nostra storia, una parola che illumina e dà senso. Questo però avviene solo dopo che i discepoli hanno espresso tutto ciò che attraversava il loro cuore: le speranze deluse, la paura, lo smarrimento, la confusione…

Lui sa tutto, ma abbiamo bisogno noi di saperlo, di capire, di prendere consapevolezza, perché così si apre la porta alla sua luce. La preghiera apre la porta del nostro cuore alla sua luce!

Come riconoscerlo? Come fare a vederlo, a sentire la sua voce, a distinguerla tra le tante? I due discepoli si dicono: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?”. Prendono atto di ciò che hanno vissuto senza comprenderlo fino in fondo, ma quando capiscono che il misterioso compagno di viaggio è Gesù, riescono a capire ciò che ha attraversato il loro cuore. Ecco un indizio: per riconoscere i segni della presenza di Gesù dobbiamo imparare ad ascoltare il nostro cuore. Teniamo presente, però, che ‘cuore’ nella Bibbia non è i sentimenti, le emozioni, ma la parte più alta delle facoltà umane, è la capacità di decidere, di discernere. La Parola di Dio porta luce nella nostra capacità di vedere, di capire, di dare senso e ne cogliamo il frutto: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (cfr. Gal 5,22), fioriscono nella nostra vita, nel modo di stare dentro le situazioni.

Resta con noi, Signore (Servo di Dio Guglielmo Giaquinta)

«Resta con noi, Signore», fu il grido di implorazione dei discepoli che per la tua parola avevano sentito il cuore rassicurato, bruciante d’amore.

La ripetiamo noi, oggi, quella preghiera e non perché i nostri cuori già gustino il tuo amore, ma perché troppo d’intorno ci opprime la pesantezza della vita. Stanchi, preoccupati, a te veniamo, Maestro divino, che solo hai parole di vita; a te che sotto la specie del pane ci ispiri pensieri sereni di speranza e di pace.

A te ridiciamo il nostro sofferto bisogno di aiuto, o Cristo Gesù, Eucaristia, Emanuele, Presenza di Dio; vieni tra noi, vieni dentro di noi, e mormora quella parola che solo tu puoi ridire: vi dono la pace del Padre.

E noi sentiremo il nostro cuore placarsi nel riposo che tu ci sai dare, nella forza che tu sai donare, nella fede che può illuminare.

Saremo allora più docili alla tua grazia. Gusteremo la gioia di essere figli della Chiesa, la certezza di vivere domani nell’eterna visione che non passa, il valore profondo del donarci a coloro che in te ci sono fratelli.

Ritorneremo ai nostri lavori, alle nostre sofferenze, ma porteremo nell’anima il desiderio vivo di te. Fa’ che questo desiderio cresca fino a diventare amore bruciante il quale, consumate le scorie dell’umano e del peccato, ci trasformi in te per farci così camminare verso la santità del Padre.

Cristina Parasiliti